TORTORELLA, CORRADINO DI SVEVIA E LA RITORSIONE DI RE CARLO D'ANGIÒ
Dopo la morte di Re
Manfredi (1266), nel settembre del 1267 discese in Italia il giovane Corradino
di Svevia, figlio di Corrado IV e di Elisabetta di Baviera, ultimo degli
Hohenstaufen, chiamato dai partigiani dell'Impero. Egli fu accolto
trionfalmente a Roma, ma il 23 agosto 1268, presso Scurcula Marsicana (Fucino),
Corradino venne sconfitto da re Carlo d'Angiò.
Scampato alla battaglia venne poi catturato
presso la Torre di Astura e consegnato a Carlo, che lo fece condannare a morte
(Napoli, piazza del Mercato, 29 ottobre 1268). In una lettera inviata al
giustiziere di Principato e Terra Beneventana nel 1279, Re Carlo I evoca eventi
ignoti verificatisi nell'odierno basso Cilento in quel tempo.
Da questa lettera si apprende di cavalieri con
predicato locale, per cui è da supporre che Tortorella fosse già fiorente in
epoca normanna. Infatti Carlo d'Angiò segnala nella sua lettera che il milite
Roberto de Bertanoni, il milite Guglielmo Marchisio il vecchio, Marchisiello
suo nipote, Nicodemo suo fratello, Ugotto Mazzacanna, Giovanni di Aldo e
Anselmo de Offiza della Terra di Tortorella, al tempo delle ultime irruzioni
nemiche nel Regno presero le parti di Corradino. Anzi all'approssimarsi delle
galee condotte da Federico Lancia e da Riccardo Filangieri al litorale di
Policastro, i predetti si recarono a incontrare il vascello imperiale. Ricevuti
i sopravvenuti come capitani, questi furono condotti nel Feudo di Tortorella e
venne affidato nelle loro mani l'amministrazione ed il governo dell'Università.
Alla venuta di Corradino fecero poi solenni e pubbliche feste.
Dopo la sconfitta di Corradino, Re Carlo ordinò
a Ruggiero Sanseverino, Conte di Marsico di far arrestare i soldati di
Tortorella, i quali si erano già messi in salvo con la fuga. Il Re, pertanto
aveva ordinato di distruggere le loro case, svellere le loro vigne, distruggere
i raccolti e dare i loro beni in amministrazione, prima ad un certo Arduino, e
poi a Giovanni Gallina, i quali se ne erano già impadroniti. Il Re pertanto
ordinò al giustiziere di estromettere costoro prendendo in consegna tali beni.
Vi è pure notizia che Margherita Guarna, vedova
del fu Matteo di Padula, concesse l'annua "previsione" di once XX sui
beni del ribelle Giovanni da Procida, in cambio dei casali di Tortorella e di
Casalnuovo quae tenebat pro dodario.
È del 1289 un ordine perentorio di Re Carlo II
ai salernitani Riccardo de Ruggiero e Riccardo D'Aiello di recarsi
immediatamente, sotto pena di confisca dei loro beni, rispettivamente al
castello di Tortorella e a quello di Sanza, di cui erano possessori, per
custodirli diligentemente ne gravetur ab hostibus.
Nell'archivio di Badia di Cava sono conservate
due pergamene che accennano a Tortorella.
Nel novembre del 1290, Gerolamo figlio di Guido
con il consenso della moglie vendette un terreno con vigna a Policastro ubi
Molinelli dicuntur per una oncia d'oro a D.no Roberto di Tortorella.
Il 30 gennaio 1314, per scadenza, vennero
devoluti "in feudum nobile" tutti i beni che erano stati di Giovanni
Lombardi di Tortorella, da parte di Tommaso Sanseverino a Silvio Vulcano di
Padula.
UNA SOCIETÀ RURALE ANOMALA: TORTORELLA NEL
MEDIOEVO
Analizzando i registri
conservati nell'archivio sussidiario di Sala Consilina redatti dal notar
Bahordo Palumbo di Tortorella e dal notar Guglielmo Lombardi, dal 1478 al 1521,
il prof. Alfonso Leone dell'Università di Salerno, ha cercato di valutare la
qualità e la quantità dei singoli settori della vita economico-sociale, e il loro
reciproco delimitarsi ed integrarsi, in Tortorella e nei casali viciniori.
I protocolli notarili nel ridurre l'angolatura
economico-giuridico ai "contratti agrari", permettono di
rappresentare in maniera sincronica e articolata la società rurale. Ne deduciamo
gli aspetti più significativi della società e del paesaggio medievale:
l'antropizzazione del territorio; il tenore di vita, gli usi e i costumi degli
abitanti; la religione; la cultura; l'amministrazione; l'economia.
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