venerdì 8 aprile 2016

TORTORELLA, CORRADINO DI SVEVIA E LA RITORSIONE DI RE CARLO D'ANGIÒ


Dopo la morte di Re Manfredi (1266), nel settembre del 1267 discese in Italia il giovane Corradino di Svevia, figlio di Corrado IV e di Elisabetta di Baviera, ultimo degli Hohenstaufen, chiamato dai partigiani dell'Impero. Egli fu accolto trionfalmente a Roma, ma il 23 agosto 1268, presso Scurcula Marsicana (Fucino), Corradino venne sconfitto da re Carlo d'Angiò.
Scampato alla battaglia venne poi catturato presso la Torre di Astura e consegnato a Carlo, che lo fece condannare a morte (Napoli, piazza del Mercato, 29 ottobre 1268). In una lettera inviata al giustiziere di Principato e Terra Beneventana nel 1279, Re Carlo I evoca eventi ignoti verificatisi nell'odierno basso Cilento in quel tempo. Da questa lettera si apprende di cavalieri con predicato locale, per cui è da supporre che Tortorella fosse già fiorente in epoca normanna. Infatti Carlo d'Angiò segnala nella sua lettera che il milite Roberto de Bertanoni, il milite Guglielmo Marchisio il vecchio, Marchisiello suo nipote, Nicodemo suo fratello, Ugotto Mazzacanna, Giovanni di Aldo e Anselmo de Offiza della Terra di Tortorella, al tempo delle ultime irruzioni nemiche nel Regno presero le parti di Corradino. Anzi all'approssimarsi delle galee condotte da Federico Lancia e da Riccardo Filangieri al litorale di Policastro, i predetti si recarono a incontrare il vascello imperiale. Ricevuti i sopravvenuti come capitani, questi furono condotti nel Feudo di Tortorella e venne affidato nelle loro mani l'amministrazione ed il governo dell'Università. Alla venuta di Corradino fecero poi solenni e pubbliche feste.
Dopo la sconfitta di Corradino, Re Carlo ordinò a Ruggiero Sanseverino, Conte di Marsico di far arrestare i soldati di Tortorella, i quali si erano già messi in salvo con la fuga. Il Re, pertanto aveva ordinato di distruggere le loro case, svellere le loro vigne, distruggere i raccolti e dare i loro beni in amministrazione, prima ad un certo Arduino, e poi a Giovanni Gallina, i quali se ne erano già impadroniti. Il Re pertanto ordinò al giustiziere di estromettere costoro prendendo in consegna tali beni.
Vi è pure notizia che Margherita Guarna, vedova del fu Matteo di Padula, concesse l'annua "previsione" di once XX sui beni del ribelle Giovanni da Procida, in cambio dei casali di Tortorella e di Casalnuovo quae tenebat pro dodario.
È del 1289 un ordine perentorio di Re Carlo II ai salernitani Riccardo de Ruggiero e Riccardo D'Aiello di recarsi immediatamente, sotto pena di confisca dei loro beni, rispettivamente al castello di Tortorella e a quello di Sanza, di cui erano possessori, per custodirli diligentemente ne gravetur ab hostibus.
Nell'archivio di Badia di Cava sono conservate due pergamene che accennano a Tortorella.
Nel novembre del 1290, Gerolamo figlio di Guido con il consenso della moglie vendette un terreno con vigna a Policastro ubi Molinelli dicuntur per una oncia d'oro a D.no Roberto di Tortorella.
Il 30 gennaio 1314, per scadenza, vennero devoluti "in feudum nobile" tutti i beni che erano stati di Giovanni Lombardi di Tortorella, da parte di Tommaso Sanseverino a Silvio Vulcano di Padula.

 

UNA SOCIETÀ RURALE ANOMALA: TORTORELLA NEL MEDIOEVO

Analizzando i registri conservati nell'archivio sussidiario di Sala Consilina redatti dal notar Bahordo Palumbo di Tortorella e dal notar Guglielmo Lombardi, dal 1478 al 1521, il prof. Alfonso Leone dell'Università di Salerno, ha cercato di valutare la qualità e la quantità dei singoli settori della vita economico-sociale, e il loro reciproco delimitarsi ed integrarsi, in Tortorella e nei casali viciniori.
I protocolli notarili nel ridurre l'angolatura economico-giuridico ai "contratti agrari", permettono di rappresentare in maniera sincronica e articolata la società rurale. Ne deduciamo gli aspetti più significativi della società e del paesaggio medievale: l'antropizzazione del territorio; il tenore di vita, gli usi e i costumi degli abitanti; la religione; la cultura; l'amministrazione; l'economia.

 
 
 

 

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